Bini Leonardo
qualifica
Istruttore
Leonardo inizia la pratica nella T.K.F.A. il 23 settembre 1993
insegna Kung-Fu Adulti
Per presentarsi come insegnante di un’arte marziale, così antica e prestigiosa, credo in tutta onestà che la cosa migliore nei confronti di chi legge sia parlare di quello che vi ho inaspettatamente trovato dopo anni di pratica con mio grande stupore e soddisfazione.
Inizio la pratica nel 1993 presso la Traditional Kung-Fu Association di Empoli (FI) sotto la guida di Calvo Mauro. Nel 2002, divento responsabile della Scuola di Empoli per il Corso di Kung-Fu cinese tradizionale. Voglio precisare che in questa scuola ho iniziato la mia prima esperienza nelle arti marziali e in essa sono rimasto fino ad oggi ininterrottamente.
Vorrei fosse chiaro sin d’ora che, ovviamente, ciò che scrivo è la mia personale convinzione maturata dall’esperienza in questa scuola.
Lo spunto può essere preso dalla domanda che molti si fanno, e che anche io per anni mi sono fatto, è: cosa distingue il Kung-fu tradizionale da un Kung-fu che tale non è?
Per essere più esatti, almeno secondo chi scrive, ci si dovrebbe chiedere quando è che un’arte marziale è praticata in modo tradizionale. Per dare la mia risposta a questa domanda, ho dovuto pazientare molto e assorbire, dal mio Maestro tante piccole cose, che vanno di là dalla tecnica e della comunicazione verbale.
Già, perché quell’aggettivo “tradizionale” vicino al “duro lavoro” (traduzione letterale della parola Kung-Fu) non può che riferirsi, se onestamente inteso, al modo in cui esso è praticato, al modo in cui una “arte marziale” è tramandata dal maestro ai propri allievi.
Ridurre la differenza tra un’arte marziale tradizionale e il suo imperfetto clone moderno alla diversità di questa o quella forma, o all’acrobatizzazione dei movimenti (con conseguente sportivizzazione del suo contesto di pratica) non è tutta la verità, anzi è la c.d. punta di un iceberg. È forse il risultato e la manifestazione del comune sentire dei nostri giorni, in cui l’analizzare, nel senso di scomporre e dividere per comprendere ogni fenomeno o esperienza, indica la strada da seguire semplificando scelte e percorsi.
Questa semplificazione, dovuta all’eccesso di analisi, può vedersi anche nel moderno modo di intendere comunemente l’espressione “arte marziale”. L’aggettivo “marziale” è riduttivamente identificato con lo scopo per cui l’arte è praticata, quindi, con il combattimento. Ma a nessuno, o meglio ad una minoranza, viene in mente che la marzialità può costituire non solo un fine, tra l’altro solo intermedio, ma anche un modo o mezzo per raggiungere uno scopo ben più alto, velatamente indicato dalla parola “arte”. Mi riferisco all’armonica ed equilibrata crescita della persona. Ciò è ancor più vero ed esplicito quando a indicare la disciplina usiamo l’espressione Kung-fu, che nel suo significato letterale vuol dire “duro lavoro” o “abilità acquisita col sacrificio”. Può esserci Kung-fu nel proprio lavoro quotidiano, può esserci Kung-fu in qualunque attività: è forse un caso che molti maestri antichi non si limitavano a essere degli abili combattenti, ma spesso erano esperti erboristi o eccellenti calligrafi o ingegnosi strateghi etc.
Forse è adeguata la considerazione di F. Nietzsche, in cui, per puro caso, mi sono imbattuto nel mio lavoro: “Ogni attività di qualche mole esercita un’efficacia. Lo sforzo di concentrare e dare una forma armonica a una materia, è come una pietra che cade nella nostra vita psichica: dal cerchio angusto se ne propagano molti più vasti.”.
E forse: il più prezioso insegnamento di un’arte marziale e di un suo vero maestro è la capacità d’impegnarsi a fondo nel raggiungimento di uno scopo positivo che non può essere solo il combattimento. Quest’ultimo è una certezza in ogni vita umana, nel senso che tutti nella vita, prima o poi, incontrano difficoltà di fronte alle quali è necessario “combattere”; quella di dover affrontare un avversario in carne ed ossa è solo un’eventualità. Affrontare i momenti di difficoltà che la vita ci presenta richiede un’armonia, un equilibrio ed una determinazione interiori che il percorso di apprendimento di un’arte marziale vera e tradizionale deve saper trasmettere al praticante. La capacità di gestire o affrontare un combattimento contro un avversario è un’acquisizione intermedia e quasi naturale se si pratica correttamente e seguiti da un vero Maestro che sappia valorizzare anche il rapporto umano al di là e oltre quello tecnico.
Troppo spesso il neo-praticante di arti marziali basa le proprie scelte su ragionamenti che si rivelano sbagliati nella realtà (per esempio: se praticherò un solo stile potrò approfondirlo di più e quindi essere migliore; in altre parole, coltiva l’utopia di una specializzazione che nella pratica di un’arte marziale non ha senso) o, peggio, sulla possibilità di fare combattimenti sportivi con l’illusione di mettersi alla prova e verificare l’efficacia di quanto insegnatogli, attribuendo, in caso di fallimento nella difesa da un’aggressione reale fuori dal ring, la responsabilità alla disciplina o al proprio maestro. Quasi mai, purtroppo, il praticante riflette sulla superficialità della propria pratica o, più semplicemente, si limita alla semplice constatazione che in uno scontro vince chi è complessivamente più forte e capace e, forse, in quelle particolari circostanze di tempo e luogo, lui lo era meno dell’avversario.
Può sembrare una constatazione ovvia, ma tutto si riduce a una mancanza di umiltà, che è qualità essenziale di ogni autocritica, necessaria ad una reale crescita personale. Chi è spinto alla pratica delle arti marziali dalla banale volontà di primeggiare sugli altri in un combattimento, già parte con un grosso handicap che spesso ne pregiudicherà il raggiungimento di ogni reale risultato positivo. Il valore di un praticante non può essere legato esclusivamente alla sua capacità di combattere o, peggio, a quante volte ha steso l’avversario. L’abilità di un insegnante di Kung-fu dovrebbe essere quella di far capire o intravedere ciò anche all’allievo che si avvicina alla pratica col solo intento di imparare a menar le mani.
Quanto precede, non vuol dire che nel praticare non si debba avere presente che ogni tecnica ha una sua applicazione e, perciò, deve essere efficace anche se portata od eseguita in assenza di reale bersaglio; nell’eseguire ogni forma si deve realizzare lo scopo di ogni tecnica; in altre parole, immaginare e, quindi, sforzarsi di esprimere nel movimento la sua essenza e finalità marziale. A questo proposito vi sono esercizi specifici che allenano il praticante al contatto fisico. A me piace l’espressione “combattere con l’aria”. Riuscire a colpire l’aria, che per sua natura è inafferrabile ed inconsistente, richiede la capacità di padroneggiare un atteggiamento mentale da far rifluire nei movimenti e nelle tecniche che non potrà trovare ostacoli insuperabili nella eventuale presenza fisica di un avversario. L’ostacolo fisico, affrontato realmente per la prima volta, potrà costituire una difficoltà effettiva e molto penalizzante solo se il praticante non ha sicura consapevolezza e fiducia nella propria preparazione lasciandosi intimidire da qualcosa che crede di non avere mai affrontato. La fiducia cui mi riferisco, chiaramente, non deve trasmodare nella presunzione tracotante di chi sottovaluta ogni situazione nell’errata certezza di una propria indiscussa superiorità. È più un fattore psichico-emozionale che, nel primo scontro reale come in ogni altro successivo, può annichilire un praticante che si è allenato seriamente in modo tradizionale. E, comunque, aggiungo, la consapevolezza di poter essere “sconfitti” è sempre necessaria, così come è necessario che un praticante sviluppi la forza morale di sapersi rialzare e continuare a lavorare su se stessi nonostante tutto. La verità è che non si smette mai di crescere e di imparare, si potrebbe dire di “combattere”.
È per questo che un’arte marziale deve accompagnarsi ad una morale. Nel praticante devono essere coltivati valori morali positivi per evitare che nello stesso cresca la presunzione di un’inesistente superiorità; presunzione di superiorità dalla quale una volta caduti difficilmente ci si rialza. Valori morali dai quali il praticante, nei momenti di difficoltà, deve poter trarre coraggio ed energia a sostegno del proprio agire quotidiano che sia un combattimento o altro. Sembrerà una sciocchezza, ma credo che moralità e motivazione dell’azione (qualsiasi essa sia) ne costituiscono l’essenza, la sua vera forza ed energia che, unita ad un allenamento adeguato se parliamo di un combattimento, possono garantirne il successo.
Praticare in modo tradizionale è cercare una crescita armonica di sé concedendosi il tempo necessario e non perdendosi solo e soltanto sul dettaglio tecnico. Apprendere e capire lo spirito di un’arte marziale è la cosa davvero difficile e, forse, l’unica che veramente ha importanza; il resto potrà conseguirsi col tempo e con l’allenamento sotto la guida di un vero Maestro.
Un buon Maestro trasmetterà il Kung-fu in modo da far capire tutto ciò ai propri allievi, a ognuno con i propri tempi, con la pazienza e l’attenzione necessarie, dando anche modo al singolo di commettere i propri errori e di poter poi ritornare sui propri passi maggiormente consapevole. È lo “spirito” con cui si pratica Kung-fu che lo rende tradizionale e lo riempie di valore.
Tutto quello che precede, io l’ho scoperto personalmente nella T.K.F.A. e l’ho visto, in tutti questi anni, mettere in pratica personalmente dal Maestro Luigi Guidotti, al quale, va la mia stima e il mio rispetto profondi e sinceri per accompagnarmi tutt’oggi con pazienza e vera maestria in questo cammino senza fine.
Voglio chiudere augurandomi di riuscire un giorno a trasmettere nel modo giusto anche solo una parte dello spirito di questa nobile disciplina che se, da un lato, richiede molti sacrifici, dall’altro, ripaga con onestà il suo praticante.